L’avvocato più richiesto, ignoto ai molisani: la “globalizzazione buona” di Bernardo Bruno
A soli 40 anni è oggi avvocato di alcune tra le più importanti multinazionali italiane, nel cui interesse cura operazioni in Italia e all’estero. E’ contributor de Il Sole 24 Ore, su cui interviene regolarmente in qualità di esperto di diritto di impresa, scrivendo articoli su temi giuridici di spessore. E’ stato scelto quale unico professionista-relatore di uno dei più importanti convegni internazionali sulla tutela del made in Italy, in programma nel prossimo autunno. E’ fondatore e titolare di uno studio legale (Bruno & Associati) dedicato esclusivamente all’impresa che, in 17 anni, ha messo insieme oltre 40 professionisti e collaboratori, inaugurando sedi a Termoli (di cui è prossima la nuova apertura), Pescara, Padova e Milano. E tutto questo lo ha fatto quasi in silenzio, continuando a investire proprio nel nostro territorio, ove ricade la più piccola parte della sua clientela.
In particolare, avvocato, solo l’8 percento della sua clientela opera in Molise. Eppure lei vive qui, resta qui…
(ride) «Vivo tra autogrill e aeroporti. E Termoli, naturalmente. Ci vivo bene, benissimo. Questa città offre una qualità della vita tangibile. D’altronde ho iniziato da qui, con aziende locali».
Definirlo un “figlio d’arte” è riduttivo, senza nulla togliere al papà Domenico Bruno, uno dei penalisti storici più affermati sul territorio, è riduttivo. Lui, Bernardo, fa altro: «Ho seguito il pallino del diritto di impresa, che era la mia strada. Mio padre è stato un maestro, poi sono andato per conto mio».
Il suo sito, il portale di Bruno & Associati, esordisce con una frase di Albert Einstein: “Chi dice che è impossibile non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo”. Gli invidiosi e i detrattori di professione si mettano l’anima in pace: lui ce la sta facendo, anzi: ce l’ha fatta. Malgrado la provincia in cui si ostina a vivere, pur potendo vivere ovunque. Un’ascesa che è il risultato di un lavoro duro («Lavoro tanto, studio ancora di più») e di una passione («Il lavoro non mi pesa, è quello che voglio fare») inarrestabile.
Passione che si sposa alla perfezione con la disciplina, con ritmi di lavoro ferrei («il mio studio, come un’azienda, fa orario continuato, e sarebbe impossibile il contrario») e con il tempo libero, equamente diviso tra la famiglia, musica (suona la chitarra elettrica e si sta perfezionando presso l’accademia jazz di Pescara), le arti marziali (è cintura nera) e la collaborazione con il Sole 24 Ore, il più prestigioso quotidiano economico di Italia, sul quale anche di recente ha interpretato sentenze (a lui favorevoli) che hanno sbloccato migliaia di pratiche. Minimizza: «Fui contattato una volta per un approfondimento e da allora ho continuato. Seleziono argomenti di interesse e li sviluppo, a beneficio di tutti».
17 anni dopo la laurea, Bernardo Bruno sta per aprire il più grande studio legale di Termoli, trasferendosi da questo appartamento in via Traversa Madonna delle Grazie, sapientemente bianco e minimale, dove avviene la chiacchierata. Lui non lo ammeterebbe mai: «Non ambisco a questi primati e sinceramente non ho idea dei metri quadri in cui lavorano i miei colleghi» replica con un pizzico di ironia, trincerandosi dietro un’aria in equilibrio perfetto tra la scanzonatura e la timidezza.
Il più grande studio, avvocato, anche per il numero di dipendenti…
«Preferisco chiamarli collaboratori. Siamo un team, specializzato in sei macro-aree, cioè il diritto civile e penale di impresa, la proprietà intellettuale, l’internazionalizzazione, il diritto bancario societario e la ristrutturazione. Mi piace pensare che siamo accomunati dallo stesso spirito, finalizzato a promuovere e difendere, attraverso la ricerca di soluzioni fornite dal diritto, le eccellenze e il made in Italy. E mi piace pensare che i miei collaboratori siano felici di lavorare in questo campo e in questo modo. Anzi, è uno dei criteri di selezione che perseguo».
Più che il curriculum, è l’attitudine che conta, oltre alla volontà a fare un percorso incanalato in un valore assai poco considerato, ma nella filosofia di Bernardo Bruno centrale: la sfida della globalizzazione. Che significa? «La globalizzazione, laddove ispiri lo sviluppo di nuovi mercati o l’accrescimento del bene comune, che passa attraverso la creazione di qualità ed eccellenza da esportare in tutto il mondo, allora non solo è vincente, ma risponde appieno a criteri di competitività imprenditoriale, che si traducono nel fare qualcosa di diverso dagli altri competitor, o nel fare la stessa cosa in modo diverso».
Lei fa qualcosa di diverso?
«Sta qui l’evoluzione della nostra professione. L’avvocato di impresa è estremamente tecnico, la sua è una sfida più culturale che commerciale. Dobbiamo superare l’idea dell’avvocato che risolve il problema nella fase patologica, perché con le aziende se si arriva a una fase patologica il lavoro è riduttivo, si tende solo a mitigare gli errori, senza raggiungere una soluzione appagante soprattutto per gli imprenditori».
Dunque una consulenza globale?
«In un certo senso è proprio così. Il nostro diritto, il diritto italiano che è il più bello del mondo, consente – se conosciuto e amato – di offrire alle imprese strumenti che l’impresa nemmeno immagina che esistano. Non è quindi solo un supporto nella fase patologica, ma un affiancamento che ottimizza la strategia di impresa. E l’espressione più diretta della sfida che la globalizzazione lancia è la competitività. Siamo l’unico Paese al mondo che ha già in sè il vantaggio competitivo. La cosa interessante che riscontro spesso è che un’impostazione etica corretta, in cui l’imprenditore guarda con chiarezza allo scopo della sua impresa, che oserei definire “ideale”, determina non solo un incremento di competitività, ma anche un uso del mercato globale più adatto a sfruttarne tutte le potenzialità».
Una globalizzazione buona, avvocato Bruno?
«Siamo abituati a sentir parlare di globalizzazione sotto il profilo etico da una parte, ed economico-giuridico dall’altra. Ma in realtà uno è espressione dell’altro».
In che senso?
«Le imprese più virtuose vogliono creare eccellenza, qualità, bene per tutti. Questo si traduce in una chiarezza di governance che determina una serie di scelte aziendali, prime tra tutte l’investimento in ricerca e sviluppo e la tutela della proprietà intellettuale, a garanzia di un enorme vantaggio competitivo nel mercato globale. E il mercato globale è solo uno strumento: come tale, implica effetti che dipendono dall’uso che se ne fa».
Sta dicendo che la globalizzazione non è una sfida commerciale?
«E’ commerciale in via secondaria, ma è principalmente una sfida culturale. Può servire ad accrescere l’eccellenza o può essere piegata al solo scopo di ottenere una produzione a basso costo. Ma in questo caso la sfida è persa in partenza. Basti pensare che lo sfruttamento incondizionato di risorse reperibili in Paesi con manodopera low cost, adottato come unico aspetto strategico della politica aziendale, incentiva scompensi, tanto nel Paese di origine, quanto in quello di destinazione, tradendo una scelta di business tipicamente “a breve termine”. Ciò accade in molte società che in realtà non hanno alcun vantaggio competitivo, ma puntano unicamente all’offerta di un prodotto al minor costo».
L’Italia non è così?
«Ci sono public companies che tendono a promuovere una crescita aziendale estremamente veloce, ma priva di reale sostanza. L’incremento di fatturato a tutti i costi è l’unica regola e, fuori da un piano di crescita sostanziale, si rivela destabilizzante per l’impresa, al punto da trovare contromisure protezionistiche. Ma ci sono altre imprese, grandi e con fatturati importanti, che sviluppano un altro concetto e ottengono risultati migliori anche a lungo termine».
In che modo?
«Nell’ambito della globalizzazione le nostre aziende italiane godono di un benefit unico al mondo, che è il made in Italy come marchio di qualità. E’ in questo che l’eccellenza indiscussa del nostro modello di impresa ridefinisce gli standard della qualità e della competitiva. E’ per questo che tutti vogliono comprarci, come in realtà hanno fatto con molti marchi di eccellenza, o ci imitano. Questo dimostra che il solo criterio dimensionale non individua la qualità dell’impresa: le più importanti griffe della qualità italiana sono piccole realtà, soprattutto se confrontate con i colossi d’oltre oceano».
Arrivato a 40 “collaboratori” e 4 sedi (Termoli, Pescara, Padova e Milano, sì Milano), richiestissimo dalle imprese e anche da numerose multinazionali che operano in Italia, alcune con sedi all’estero, delle quali non rivelerebbe il nome nemmeno sotto tortura. Qualche informazione si riesce a estorcere dal sito web, nella sezione dei testimonials, dove si leggono valutazioni positive di manager di Fis, Pirelli, Eni, general Electic eccetera. «La deontologia mi vieta di parlare dei miei clienti» si difende con un sorriso.
Impossibile anche trovare fotografie sue in giro. Minimizza ancora. «Non sono fotogenico e sono una frana coi selfie…»
Su una cosa però si sbilancia: «Mi piace lavorare con quelle aziende che investono in qualcosa di nuovo, che puntano alla qualità, a costo di sacrificare il profitto. Mi interessa l’apertura verso le imprese che intendono difendere la proprietà intellettuale, fondamentale nel nostro Paese, proprio per la presenza di tantissime realtà di eccellenza, di marchi notori e di una capacità superiore di creare processi innovativi. Qui si gioca gran parte della questione culturale di cui parlavo. Perché fare impresa – sintetizza questo quarantenne che da Termoli è in contatto con il mondo – è responsabilità. L’imprenditore deve capire che la sua risorsa più importante è quella umana»
Una visione illuminata, specialmente se condivisa da un avvocato di successo come lei.
«Non parlerei di successo, ma di gratificazioni».
Fuori dai circuiti mondani, ai margini rispetto agli eventi locali, fuori (ovviamente) anche da facebook, restio alle interviste («faccio parlare i miei clienti, preferisco»). Insomma, lei sembra sconosciuto da queste parti, perfino nella sua città.
Ride. «Evidentemente il mio profilo non è così pregevole, sono solo un avvocato che fa il suo lavoro».
A quanto pare lo fa più che bene
«Probabilmente è questa la ricetta perfetta per non far parlare di me».
Beh, ora però ha accettato di parlare nella tavola rotonda su protezionismo e gobalizzazione, nel primo Festival del Sarà, in una piazza termolese, piazza Duomo. Lunedì prossimo. Anzi avvocato Bruno, sa che è l’unico termolese inserito in un ventaglio selezionato di ospiti affermati e famosi?
«Ecco, la dimostrazione che anche i migliori organizzatori di eventi possono sbagliare». E giù un altro sorriso.