Festival del Sarà: regionalismo sì o no? Ecco il sondaggio che mostra cosa ne pensano gli italiani
Al Festival del Sarà, nella prima serata in piazza Duomo, il governatore del Molise si è confrontato con i colleghi del Nord e del Sud su un tema caldo – quello del regionalismo e dell’autonomia differenziata – ma ancora poco affrontato sul quale la Digis ha realizzato un sondaggio utile a comprendere la percezione della popolazione sull’argomento.
Con il dibattito sul regionalismo differenziato si è dato il via ieri, 24 luglio, alla terza edizione del Festival del Sarà. Un argomento ‘tecnico’ ma seguito con interesse da molti cittadini, a giudicare dai posti occupati davanti al palco di piazza Duomo. Molta curiosità ha suscitato anche il sondaggio mostrato sullo schermo, effettuato da Digis proprio per sondare le percezioni e le opinioni degli italiani su questo tema così centrale nell’attualità politica.
A fare da moderatore è stato l’ideatore del festival, Antonello Barone, che ha accolto gli ospiti intervenuti. Sul palco con lui c’erano il Presidente della Regione Molise Donato Toma, il sindaco di Termoli Francesco Roberti, l’assessore regionale dell’Abruzzo Piero Fioretti e il promotore della manifestazione Nicola Cesare, Ad di Cesare Group.
Inoltre nel corso della serata c’è stato modo di ascoltare gli interventi in video di 3 governatori e, prima di questi, ad aprire la serata c’è stato l’intervento di Alessandro Taballione, cronista politico per SkyTg24, che ha introdotto l’argomento. Nello specifico il giornalista ha chiesto agli ascoltatori perché poche Regioni del Sud (eccetto Campania e Puglia) non abbiano mai pensato di ottenere autonomia su certe materie, chiedendo provocatoriamente se non incida in questo una certa ‘pigrizia’ nello gestire autonomamente le risorse da parte degli enti meridionali. Ha ricordato dunque come sia in atto un processo volto a ridisegnare il modo in cui Stato e Regioni ‘parlano’ e i diversi stati di avanzamento del progetto. 3 Regioni del Nord hanno già avanzato la richiesta e sono Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Ma in molte altre parti d’Italia la richiesta di autonomia differenziata è in dirittura d’arrivo. Non tutti però sono d’accordo su tutto, ne sono alcuni esempi la questione ‘istruzione’ che sta tenendo banco in questi giorni e che alcuni vorrebbero tenere fuori, o ancora la scelta del criterio per la ripartizione dei fondi (spesa storica o costi standard) e infine la fiscalità, che non per tutti dovrebbe essere decentrata.
È stato Nicola Cesare ad illustrare un sondaggio effettuato dalla società Digis (della Cesare Group) che fa il punto su cosa ne pensano gli italiani. E la prima sorpresa è stata apprendere che ben due terzi del campione ha asserito di aver sentito parlare di ‘autonomia differenziata’. Se sia giusta o meno? Per il 35 per cento lo è, per il 32,7 no e la restante parte dichiara di non saperlo. Il sondaggio poi ha passato in rassegna alcune delle materie attualmente gestite in maniera concorrente dallo Stato e dalle Regioni, per capire su quali argomenti la decentralizzazione sia valutata positivamente o meno. E ci si accorge che, se su materie come l’Energia, la Tutela e sicurezza del lavoro o le Infrastrutture i ‘regionalisti’ siano pochi, passando a materie come l’Istruzione, la Ricerca scientifica e tecnologica e la Sanità questi crescano sensibilmente. Vorrebbe una competenza esclusiva della Regione sull’Istruzione il 21 per cento, sulla Ricerca il 21,1 per cento e uno su quattro per quanto attiene alla Sanità. Temi dunque avvertiti come vicini alla localizzazione e al decentramento delle competenze.
Il presidente del Molise, Donato Toma, così si è espresso sul tema: “Non sono contrario al regionalismo differenziato ma prima dobbiamo capire cosa succederà al Sud Italia”.
Perchè nelle Regioni ‘bollate’ come povere – o nelle aree interne e periferiche delle aree ricche, come ha precisato Cesare – gli interrogativi che ci si pongono hanno a che vedere con il tema dei diritti e con la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni. Il Presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini – tra i sostenitori del regionalismo – su questo ha tenuto a precisare come il principio della sussidiarietà sia sacro così come quello dell’unità nazionale. Che tradotto significa: chi corre di più aiuta chi corre di meno.
Nettamente più spostato su posizioni di autonomia tout court il presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga (foto sopra), intervistato a Roma nei giorni scorsi da Antonello Barone. Rilevante anche l’intervento del Presidente siciliano, Nello Musumeci, che ha posto l’attenzione sulla imprescindibile perequazione infrastrutturale e sulla necessità di un ‘Piano Marshall’ per le regioni meridionali senza i quali il regionalismo rischia di aumentare il solco, già profondo, che divide l’Italia del Sud da quella del Nord.
Il sondaggio ha chiesto agli italiani proprio questo: con il regionalismo le regioni più ricche diventeranno più ricche e quelle povere più povere? È così per oltre il 31 per cento degli intervistati, 1 su 10 è abbastanza d’accordo con questa affermazione ma più del 53 per cento non la pensa affatto così. Il 63 per cento inoltre crede che il regionalismo potrebbe pregiudicare la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni nelle regioni più povere. La problematica è dunque sentita, e i molisani probabilmente ne sanno qualcosa. Per 6 italiani su 10 il criterio dell’allocazione delle risorse di questa riforma – che qualcuno ha accostato ad una sorta di ‘rivoluzione dell’efficienza’ – dovrebbe essere quello dei costi standard e non quello della spesa storica o della media nazionale. Perché, come ha ricordato Toma, la spesa storica su certi settori è notoriamente bassa qui al Sud e un criterio del genere non farebbe che penalizzarci ulteriormente. E lo spauracchio di diventare cittadini di serie b potrebbe divenire realtà.
A cura di Roberta Morrone – www.primonumero.it